Le tre sorelle

Le tre
sorelle

di Anton Cechov


I giorni mangiano i giorni e si perde il senso delle distanze, salvo rendersene conto quando è tardi, sulla spinta di una catastrofe esterna, al terz’atto, punto focale delle confessioni di un generale fallimento, nella luce di un incendio. Prima la polifonia cechoviana delle azioni simultanee era stata cancellata insieme al prezioso intrecciarsi delle psicologie e alle famose atmosfere, a profitto di una più raggelante scala temporale: ed ecco il terzo atto, bellissimo, recuperare modi naturalistici per una sintesi emozionante di bilanci in perdita, chiusa dall’uscita degli arredi e dal mutarsi a vista della scena (realizzata su bozzetti di Margherita Palli) in un giardino di rosseggianti foglie di acero e betulla. Delle quattro stagioni significativamente immaginate per i quattro atti la sola rimasta è l’autunno, teatro della partenza della guarnigione e dell’impossibilità accettata dalle sorelle a trasferirsi nell’invocata Mosca. Le battute finali di rassegnazione sono gridate da loro come un’appendice dovuta, coperta dalla banda militare dei partenti, e svalutata dalla posposizione di uno dei tanti ‘Che importa?’ del vecchio dottore. Mestamente, con una gaiezza di circostanza, si chiude così il flashback, di cui peraltro si era persa la traccia nella seconda parte, quando il racconto aveva preso a fluire sull’onda tradizionale, superando il partito preso di inizio, con felicità narrativa e sottolineature ironiche, recuperando anche qualche citazione dei grandi recenti allestimenti del Teatro Katona di Budapest e di Peter Stein. Indimenticabili a dispetto delle loro premesse, i volti delle tre sorelle emergono da uno spettacolo all’altro, con un’identità destinata a completarsi progressivamente, già fissata da Cechov con la forza di una scrittura in apparenza indeterminata e policentrica. Ronconi avrebbe voluto isolare solo il primo e il terz’atto del testo per un confronto stilistico: lo spunto lascia qualche margine di discontinuità sullo spettacolo, un po’ compresso nella scena del Teatro Comunale di Gubbio, ma a livello di altissimo saggio di recitazione. Non sarà facile dimenticare la grandezza delle tre non separabili protagoniste: il segno stilistico di Marisa Fabbri, sublime mediatrice della memoria, l’energia vitale di una travolgente Annamaria Guarnieri, l’eleganza sognante di Franca Nuti, superba salvo per qualche eccesso drammatico, accanto alla straordinaria presenza di Umberto Orsini, che impone un Verscinin inedito, umanamente struggente e condannato a far risuonare i suoi filosofemi nel vuoto. Franco Quadri -la Repubblica


La Locandina

Produzione Maria A. Gioseffi

traduzione di Carlo Grabher
regia di Luca Ronconi
con Mauro Avogadro, Toni Bertorelli, Delia Boccardo (edizione 1989/90 sostituita da Micaela Esdra), Marisa Fabbri, Gianni Garko, Ivo Garrani, Evelina Gori, Anna Maria Guarnieri, Franco Mezzera, Franca Nuti, Umberto Orsini (edizione 1989/90 sostituito da Lino Troisi), Antonio Puntillo, Luciano Virgilio, Luca Zingaretti (edizione 1989/90 sostituito da Peppe Barile)
regista collaboratore Angelo Corti
scena da un bozzetto di Margherita Palli
costumi di Vera Marzot
luci di Sergio Rossi

direttore dell’allestimento Pietro Pagnanelli
suono Hubert Westkemper
direzione di produzione Maria A. Gioseffi
assistente alla regia Riccardo Bini A.U.D.A.C. – Associazione Umbra per il Decentramento Artistico e Culturale

Info

traduzione di Carlo Grabher
regia di Luca Ronconi
con Mauro Avogadro, Toni Bertorelli, Delia Boccardo (edizione 1989/90 sostituita da Micaela Esdra), Marisa Fabbri, Gianni Garko, Ivo Garrani, Evelina Gori, Anna Maria Guarnieri, Franco Mezzera, Franca Nuti, Umberto Orsini (edizione 1989/90 sostituito da Lino Troisi), Antonio Puntillo, Luciano Virgilio, Luca Zingaretti (edizione 1989/90 sostituito da Peppe Barile)
regista collaboratore Angelo Corti
scena da un bozzetto di Margherita Palli
costumi di Vera Marzot
luci di Sergio Rossi
direttore dell’allestimento Pietro Pagnanelli
suono Hubert Westkemper
direzione di produzione Maria A. Gioseffi
assistente alla regia Riccardo Bini

A.U.D.A.C. – Associazione Umbra per il Decentramento Artistico e Culturale


I giorni mangiano i giorni e si perde il senso delle distanze, salvo rendersene conto quando è tardi, sulla spinta di una catastrofe esterna, al terz’atto, punto focale delle confessioni di un generale fallimento, nella luce di un incendio. Prima la polifonia cechoviana delle azioni simultanee era stata cancellata insieme al prezioso intrecciarsi delle psicologie e alle famose atmosfere, a profitto di una più raggelante scala temporale: ed ecco il terzo atto, bellissimo, recuperare modi naturalistici per una sintesi emozionante di bilanci in perdita, chiusa dall’uscita degli arredi e dal mutarsi a vista della scena (realizzata su bozzetti di Margherita Palli) in un giardino di rosseggianti foglie di acero e betulla. Delle quattro stagioni significativamente immaginate per i quattro atti la sola rimasta è l’autunno, teatro della partenza della guarnigione e dell’impossibilità accettata dalle sorelle a trasferirsi nell’invocata Mosca. Le battute finali di rassegnazione sono gridate da loro come un’appendice dovuta, coperta dalla banda militare dei partenti, e svalutata dalla posposizione di uno dei tanti ‘Che importa?’ del vecchio dottore. Mestamente, con una gaiezza di circostanza, si chiude così il flashback, di cui peraltro si era persa la traccia nella seconda parte, quando il racconto aveva preso a fluire sull’onda tradizionale, superando il partito preso di inizio, con felicità narrativa e sottolineature ironiche, recuperando anche qualche citazione dei grandi recenti allestimenti del Teatro Katona di Budapest e di Peter Stein. Indimenticabili a dispetto delle loro premesse, i volti delle tre sorelle emergono da uno spettacolo all’altro, con un’identità destinata a completarsi progressivamente, già fissata da Cechov con la forza di una scrittura in apparenza indeterminata e policentrica. Ronconi avrebbe voluto isolare solo il primo e il terz’atto del testo per un confronto stilistico: lo spunto lascia qualche margine di discontinuità sullo spettacolo, un po’ compresso nella scena del Teatro Comunale di Gubbio, ma a livello di altissimo saggio di recitazione. Non sarà facile dimenticare la grandezza delle tre non separabili protagoniste: il segno stilistico di Marisa Fabbri, sublime mediatrice della memoria, l’energia vitale di una travolgente Annamaria Guarnieri, l’eleganza sognante di Franca Nuti, superba salvo per qualche eccesso drammatico, accanto alla straordinaria presenza di Umberto Orsini, che impone un Verscinin inedito, umanamente struggente e condannato a far risuonare i suoi filosofemi nel vuoto. Franco Quadri –la Repubblica





Stagioni precedenti

— Gubbio, Teatro Comunale, Mer 29 Mar