Oltre

Oltre

come 16+29 persone hanno attraversato il disastro delle Ande

ideazione e regia Fabiana Iacozzilli


Il 13 ottobre 1972 il volo 571 dell’aeronautica militare uruguaiana si schiantò sulle Ande con quarantacinque persone a bordo. Il volo trasportava i membri della squadra di rugby Old Christians Club insieme ad alcuni amici e familiari. I ragazzi avrebbero dovuto affrontare una partita, la rotta era da Montevideo, in Uruguay, a Santiago, in Cile. Solo un passeggero non aveva alcun legame con la squadra. Allo schianto sopravvissero in ventinove e dopo settantadue giorni solo sedici di loro furono salvati dai soccorsi. Il 22 dicembre 1972 il mondo venne a sapere che sulla Cordigliera delle Ande i passeggeri erano sopravvissuti cibandosi dei corpi dei loro amici.
Alla fine del mese di febbraio 2025 Linda Dalisi ed io siamo partite per Montevideo per incontrare alcuni tra i sopravvissuti al disastro aereo – oggi uomini di età comprese tra i 70 e i 75 anni – e alcune tra le sorelle, i fratelli e i figli degli uomini e le donne che non sono tornati dalle montagne. Siamo entrate nelle loro case, nei loro posti di lavoro, siamo andate a visitare il campo da rugby in cui erano soliti allenarsi, abbiamo scoperto che ci sono gruppi di fan della storia e dei loro protagonisti sparsi in tutto il mondo, siamo andate a visitare un museo dove al suo interno è contenuta una cella frigorifera che consente ai visitatori di sentire per settantadue secondi il freddo che hanno provato quei ragazzi per settantadue giorni. Ma cosa cercano le persone in questa storia? Cosa vogliamo io e Linda da questa storia?
Siamo partite con tante domande, le nostre e quelle dei nostri collaboratori, e siamo tornate con la consapevolezza che questa è una vicenda “prismatica” come la definisce Linda Dalisi, in cui non ci sono né vincitori né eroi e che un pezzo centrale di essa si svolge dall’altro lato della montagna in quella Montevideo in cui le famiglie dei giovani scomparsi – allo stesso modo e con la stessa intensità – interpellavano indovini e pregavano dio, affittavano aerei privati per sorvolare la cordigliera e chiedevano di parlare con Allende pur di ritrovare i propri figli.
Fabiana Iacozzilli


La Locandina

ideazione e regia Fabiana Iacozzilli
con Andrei Balan, Francesco Meloni, Marta Meneghetti, Giselda Ranieri, Evelina Rosselli, Isacco Venturini, Simone Zambelli
dramaturg Linda Dalisi
scene Paola Villani
musiche e suono Franco Visioli
luci Raffaella Vitiello
cura dell’animazione Michela Aiello
aiuto regia Cesare Del Beato
assistenti alla regia volontari Matilde Re e Francesco Savino

produzione Teatro Stabile dell’Umbria
in coproduzione con
Cranpi, La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
con il sostegno e debutto nazionale
Romaeuropa Festival
con il sostegno
del Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale, Teatro Biblioteca Quarticciolo
con il contributo
dell’Istituto Italiano di Cultura di Montevideo
un ringraziamento
a Fivizzano27

Info

NUOVO ALLESTIMENTO


E quindi “fin dove è disposto a spingersi l’essere umano?”

Nando Parrado, è forse il personaggio più carismatico di questa vicenda: un ragazzo di vent’anni che decide di intraprendere insieme a Roberto Canessa il viaggio per cercare i soccorsi e lo fa con ai piedi dei mocassini e nello zaino otto calzettoni da rugby pieni di carne umana. Ma cosa lo muove? Aveva la sorella e la madre interrate a quattro metri dalla fusoliera, sarebbe arrivato il momento in cui sarebbero stati gli ultimi due corpi di cui cibarsi e, soprattutto, aveva un padre a cui andare a dire “papà sono vivo, non devi piangere tre corpi ma solo due”.
È dunque uno spazio tragico quello in cui ci muoviamo, uno spazio in cui i corpi si depauperano fino a diventare quasi nulla e in cui troneggia il rottame di una fusoliera che ricorda gli echi dell’incidente e, al tempo stesso, è luogo di salvezza e unico ventre materno.
Nella scelta della lingua scenica risiede la volontà di mettere al centro della narrazione le questioni legate al corpo, utilizzando delle marionette ibride ispirate alle opere di Giacometti come mezzo per consentire ai corpi di diventare scheletrici davanti agli occhi del pubblico; per consentire a questi corpi di entrare uno dentro l’altro. Il mondo della figura posiziona la vicenda su un piano metafisico e i puppets, per loro natura punti di contatto con il mistero e il perturbante, ci fanno sprofondare nella dimensione spirituale di cui la vicenda è intrisa. Centrale all’interno di questo lavoro è, come già accaduto nei miei precedenti spettacoli, la contaminazione del teatro di figura con le voci delle testimonianze.

Perché raccontiamo oggi questa storia?

Perché è una storia piena d’amore, in cui ci sono dei figli che cercano di tornare dai loro padri e che come Amleto si interrogano sull’essere o il non essere, perché ci sono dei padri che decidono di salire in groppa a un cavallo per andare a riprendere ciò che resta del corpo di un figlio e che ci ricordano Priamo in ginocchio che rivuole il corpo di Ettore, perché è la storia tragica di famiglie che si spezzano e che sono costrette a ricercare nei corpi dei sopravvissuti dei pezzettini dei propri cari. E come possono guardare gli occhi di una madre tutto questo?
Ma anche perché come dice Ana Ines Lamas, sorella di una delle vittime, è una storia di ignoranza e di immaginazione: i ragazzi non conoscevano la neve e il ghiaccio e proprio per questo sono riusciti ad andare oltre, immaginandosi un modo per sopravvivere e inventandosi una strada da percorrere per tornare a casa.

Fabiana Iacozzilli