La madre dei mostri

La madre
dei mostri

ispirato ai racconti di Guy de Maupassant


Lorenzo Collalti dirige uno spettacolo tratto dai racconti di Guy de Maupassant – considerato tra i fondatori della narrativa moderna – con una drammaturgia inedita, capace di indagare e costruire la vita quotidiana tra psicosi e ironia, come fa lo scrittore francese.

“Maupassant scrive i suoi racconti, quando di psicologia si sa molto poco; l’unica cosa evidente è che oltrepassato il confine della psiche ci si può perdere; questo spaventa ma per Maupassant il vero orrore non sono i mostri come li possiamo immaginare ma l’osservazione psicotica della realtà. Maupassant la guarda con quel senso critico che ne scardina le apparenze e le ipocrisie, svelando un mondo che non conosce logica, dove tutto è in discussione e non c’è àncora di salvezza che plachi il disorientamento dell’uomo.
Attraverso una riscrittura del racconto de Le Horla (un uomo confessa attraverso un diario di essere posseduto da un vampiro), quasi fossero dei lapsus, nel crescendo di follia del protagonista, si snodano una serie di racconti che prendono vita per associazioni di pensiero. Il tempo, come se fosse un flusso di coscienza e come qualsiasi costrutto logico, nel mondo dell’orrore perde il suo significato normativo della realtà e concede delle contaminazioni tra l’Ottocento e i giorni nostri. Maupassant vede dei mostri invisibili nel suo tempo e, con la riscrittura, ritrova quella mostruosità nel nostro”. LORENZO COLLALTI


La Locandina

regia e progetto drammaturgico Lorenzo Collalti
con Michelangelo Dalisi, Caterina Carpio, Luca Carbone, Gabriele Linari, Grazia Capraro
allestimento scenico e luci Lorenzo Collalti

costumi Lucia Menegazzo
sound design
Dario Felli
assistente alla regia Sergio Biagi
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
un ringraziamento all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico

Info

DURATA 1 ora e 30

ph. Gianluca Pantaleo

ph. Gianluca Pantaleo

ph. Gianluca Pantaleo

ph. Gianluca Pantaleo


Note di regia

La nostra società rifiuta l’orrore. Adora spaventarsi, come adora piangere; soprattutto se a comando, quando non è necessario attivare un senso critico. Adora, nel nostro mondo caotico, frenetico e sempre in ritardo, districare quei complessi nodi emotivi con risposte facili; che poi queste vengano dall’universo spettacolo, dai giornali o da internet non importa, purché siano risposte semplici a domande complesse. Adora ridurre queste emozioni a veri e propri servizi catartici, erogati come dei beni di consumo facilmente quotabili in base alle leggi di mercato. Adora usare questi mezzi come manutenzione psicologica: tolgono lo sporco e lubrificano con una modica spesa; la macchina gira senza troppi pensieri.

Ma, a volte, la macchina si ferma di colpo. Non parte più. Prende fuoco. Non risponde più ai comandi. Cosa è successo? Seguiva costantemente la manutenzione. Forse quella manutenzione non era sufficiente? Forse era sbagliata? Forse era veramente un oppiaceo che travisava la realtà? Anche in questo caso, la società trova una soluzione: queste macchine sono semplicemente fallate. Sono macchine chiamate pazzi, depressi, perversi, malati, disturbati, psicopatici e così via. Non sono prodotti da nessun sistema viziato. Non sono alimentati da nessun comportamento mostruoso. Sono solo dei normalissimi difetti di fabbrica nella produzione in serie.
L’orrore no. L’orrore non c’entra neanche stavolta. L’orrore non lo vogliamo proprio.

Quando Maupassant scrive i suoi racconti, lo studio della psicologia non ha neanche mosso i primi passi. È quasi una tendenza culturale: iniziare a prestare attenzione a queste bizzarrie dell’animo umano e cercare di avere contezza di quest’oceano infinito dietro ogni individuo. Non c’è nulla di tecnico, è quasi empirico; oltrepassato questo confine si può andare ovunque e da nessuna parte; ciò che è certo, è che fa paura. Per questa ragione forse, tanti autori circoscrivono con il terrore questo nuovo mondo appena scoperto.
Non è il caso di Maupassant. O per meglio dire, non si limita a raccontarne l’orrore. La sua scrittura osserva con senso critico la realtà, svelandone fragilità e ipocrisie. Questo ci pone continuamente davanti a degli incroci dove si possono prendere strade profondamente diverse. A seconda della prospettiva dalla quale si guarda l’episodio raccontato, questo può essere tragico, ironico, orrifico, ipocrita e non necessariamente questi piani sono distinti.

I suoi racconti non sono altro che degli articoli di giornale, molto fantasiosi. In poche pagine descrivono un frammento famigliare, un ritratto di interni lavorativi, o scenari di campagna senza cercare nulla di epico. Di fatto però, essendo quasi dei pezzi giornalistici, privi di un approfondimento del contesto, dei personaggi, delle circostanze necessitano di una drammatizzazione. Nella messinscena, questo ci costringe a una riscrittura contemporanea (per non creare un falso storico) di quei racconti che diventano domande scabrose a prescindere dal contesto.
La scelta drammaturgica è stata quella di riscrivere il racconto de Le Horla: un uomo confessa attraverso un diario di essere posseduto da un vampiro e cerca in tutti i modi di evadere dal suo dominatore; più tenterà la fuga, più costruirà la sua autodistruzione.
La dimensione letteraria del racconto, si trasforma in un flusso di coscienza che segue però tutti i percorsi logici dell’originale, rievocandone l’emotività e attraversando tutto lo spettacolo.
Lo spazio diventa un limbo scenico che gli attori disegnano e significano con le loro azioni, lasciando che questo perda ogni elemento cardinale; per poi far prendere forma a dei quadri: i racconti. Quasi fossero dei lapsus, questi, nel crescendo di follia del protagonista, si inseriscono nel flusso di coscienza che la regia stessa segue, dirigendo ogni quadro con un piano diverso, o anche una regia diversa: diventando dinamica come la mente del protagonista. Si innesca così una macchina imprevedibile, in continua mutazione che può generare ironia, tragedia, ipocrisia e orrore senza soluzione di continuità.
Seguendo questo meccanismo, il tempo, come qualsiasi costrutto logico, nel mondo dell’orrore perde il suo significato normativo della realtà e concede delle contaminazioni tra l’Ottocento e i giorni nostri senza giudizio. Maupassant vede dei mostri “invisibili” nel suo tempo e, con la riscrittura, “ritrova” quella mostruosità nel nostro.





Stagioni precedenti

— Teatro Secci - Terni, da Lun 5 Dic a Mer 7 Dic

— Teatro della Filarmonica - Corciano, Sab 3 Dic

— Teatro Don Bosco - Gualdo Tadino, Ven 2 Dic

— Teatro Caporali - Panicale, Gio 1 Dic

— Teatro Concordia - Marsciano, Mar 29 Nov

— Spazio ZUT! - Foligno, da Dom 27 Nov a Lun 28 Nov

— Teatro Mengoni - Magione, Ven 25 Nov

— Teatro dell'Accademia - Tuoro sul Trasimeno, Mer 23 Nov

— Teatro Comunale Giuseppe Manini - Narni, da Dom 20 Nov a Lun 21 Nov

— Teatro Torti - Bevagna, Sab 19 Nov